Queerologies
2 min readJul 12, 2023

Di dieci anni più vecchio di me, Ivan Blatný (morto da tempo) è il poeta che ho ammirato sin da quando avevo quattordici anni. In una delle sue raccolte tornava spesso un verso con un nome di donna: «Albertinko, ty», «Albertine, tu». Era, ovviamente, un’allusione all’Albertine di Proust. Questo nome è diventato per me, adolescente, il più ammaliante di tutti i nomi femminili.
Di Proust non conoscevo allora che la costa di una ventina di volumi di Alla ricerca del tempo perduto in traduzione ceca, ben allineati nella biblioteca di un amico. Grazie a Blatný, grazie al suo «Albertinko, ty», un giorno mi ci sono immerso. Quando sono arrivato alle Fanciulle in fiore, l’Albertine di Proust si è confusa, impercettibilmente, con l’Albertine del mio poeta.
I poeti cechi amavano molto l’opera di Proust, ma non conoscevano la sua biografia. Ivan Blatný non faceva eccezione. Io stesso, d’altra parte, ho perso piuttosto tardi il privilegio di quella bella ignoranza, cioè quando ho sentito dire che per Albertine Proust si era ispirato a un uomo, un suo amore.
Ma che storie sono queste! Che Proust si sia ispirato a questo o a quella, Albertine è Albertine, e basta! Un romanzo è il frutto di un’alchimia che trasforma una donna in uomo, un uomo in donna, il fango in oro, un aneddoto in dramma! È questa divina alchimia a costituire la forza di ogni romanziere, il segreto, lo splendore della sua arte!
Niente da fare; benché consideri Albertine donna assolutamente indimenticabile, da quando mi hanno rivelato che il suo modello era un uomo, questa inutile informazione si è annidata nella mia testa come un virus nella memoria di un computer. Un maschio si è insinuato fra me e Albertine, offusca la sua immagine, mina la sua femminilità: per un istante la vedo con un bel seno, poi completamente piatta, e a tratti sulla tenera pelle del suo viso spuntano i baffi.
Mi hanno ucciso la mia Albertine. Penso alle parole di Flaubert: «L’artista deve far credere ai posteri di non avere vissuto». Bisogna capire bene il senso di questa frase: ciò che il romanziere vuole anzitutto proteggere non è se stesso, ma Albertine e Madame Arnoux.


Milan Kundera, Il sipario, trad. it. di Massimo Rizzante, Adelphi, 2005